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I fiori di Clarissa
di Grazia Napoli


Può un romanzo iconico di inizio ‘900 avere una prosecuzione ideale in uno scritto di fine Secolo? Si può pensare che l’uno sia l’evoluzione dell’altro, ma non la copia? Ci può essere un esito artistico, che parte da una storia umana, di caratteri, psicologica e storica, per arrivare a tracciare la realizzazione di vite e sogni, in altri luoghi e in altri tempi, ma mantenendo concetti e spirito iniziali e rompendo, ancora una volta e ulteriormente, i canoni della scrittura tradizionale?


Virginia Woolf fotografata da Vogue nel 1924 davanti ad un vaso di fiori appassiti


Virginia Woolf scrisse, con molta fatica e sofferenza, Mrs Dalloway, nel 1923. Il primo titolo era Le Ore. È infatti il tempo uno dei temi centrali del romanzo. La vita riempie le ore, e viceversa. Ore che coprono una sola giornata di Clarissa Dalloway, impegnata ad organizzare una festa nella sua casa londinese. I suoi pensieri, i ricordi, le riflessioni si snodano, mentre cammina nelle vie del centro di Londra, intenzionata a comprare dei fiori. Una camminata in cui la città è protagonista, con i suoi negozi eleganti, le panchine, i viali. Passa persino l’auto del Primo Ministro. Una passeggiata per spunti e incontri determinanti allo sviluppo del racconto, dalla trama minima, basata più su percezioni e sentimenti, che su fatti veri e propri. Sullo sfondo c’è la Storia, che ha prodotto una gioventù “malata” dopo la Grande Guerra. Anche Clarissa è appena uscita da una malattia, forse - secondo una recente interpretazione - dall’ influenza Spagnola. Una Storia in cui vita e morte si intrecciano e rincorrono.


un bouquet di fiori confezionato da Egidio Lauria per corredare questo articolo


Nel 1999, è stato pubblicato anche in Italia per Bompiani, Le Ore, dello scrittore americano Michael Cunningham, che torna alla Woolf, ma con la consapevolezza dei tempi dell’America di fine Secolo, con le conquiste civili ormai realizzate, ma con lo stesso dolore e la stessa ricerca della bellezza e della pienezza dell’esistenza.

Tre le donne protagoniste: Virginia Woolf, Laura Brown, Clarissa Vaughan. Filo rosso delle loro vicende è Mrs Dolloway. Un libro.

Virginia Woolf lo sta scrivendo nella solitudine della sua casa di Richmond, dove cerca di tenere testa alla malattia mentale, che la porterà al suicidio, nel 1941. Episodio tragico che fa da prologo al libro di Cunningham. Cerca l’attacco del racconto, il poi famosissimo “la signora Dalloway disse che avrebbe comprato lei i fiori” e cerca di definire il personaggio. Una donna della borghesia inglese, sposata, con figli, che in gioventù era stata innamorata di una ragazza. Virginia pensa che farà morire Clarissa suicida. Cerca ispirazione nel silenzio di Richmond in una giornata qualsiasi trascorsa tra scrittura, un tè con la sorella e i nipoti, una passeggiata fino alla stazione a guardare i treni per Londra, dove vuole assolutamente tornare, la cena e il dialogo con il marito Leonard nella tipografia della loro Casa editrice, la Hogart Press.

Laura Brown, vive a Los Angeles in una tipica villetta con giardino e garage. È il 1949 e la sua è una felicità familiare solo apparente, costretta dalle convenzioni del tempo in un matrimonio e in un ruolo che non vuole. Nel giorno del compleanno del marito prepara con il figlio Richard una bella torta ornata di rose blu; riceve la visita dell’amica Kitty di cui è segretamente innamorata; poi lascia il figlio ad una vicina e si rifugia in un albergo a leggere Mrs Dalloway. Pensa alla sua vita, pensa al suicidio, poi torna a casa per la festa di compleanno del marito. È incinta di una bambina. Fuggirà presto.

Clarissa Vaughan – detta Clarissa Dalloway dal suo amico Richard - vive a New York alle soglie del nuovo millennio. Coniugata con Sally, ha una figlia e lavora come Editor. Nella sua prima scena anche lei è in strada, a New York per andare a comprare dei fiori. Darà una festa per Richard, poeta e scrittore ammalato di Aids, che ha appena finito di scrivere la sua autobiografia di oltre 800 pagine, in cui la figura più controversa è la madre.  

Tre voci narranti, tre storie, tre punti di vista, tre punti geografici, tre epiloghi. Cunnigham le segue, entra nelle loro vite, cerca di raccontare con un linguaggio moderno le emozioni, le aspirazioni, i progetti. Sono donne forti, consapevoli di sé stesse, raccontate nell’arco di una giornata: quella dell’inizio della scrittura di un nuovo romanzo per Virginia Woolf; quella della fuga di Laura da costrizioni e convenzioni borghesi; quella della festa di Clarissa. Le ore riempite dalle loro vite, che si toccheranno in qualche modo anche al di là del libro che le ispira e che sembrano la prosecuzione e l’affermazione del primo romanzo.

Certo di woolfiano rimane poco, se non questo sottile filo rosso. Il resto è ambientazione e racconto moderno, anche se non manca un tentativo di introspezione psicologica. Virginia colloquia con le voci della sua mente schizofrenica; Laura parla con sé stessa in uno specchio; Clarissa trova il suo specchio nell’amico poeta e nella comprensione delle donne e per le donne.

Il senso della ricerca della libertà, della bellezza, della realizzazione e la sublimazione nel momento e nell’Arte sono sicuramente l’esito moderno delle battaglie e delle sofferenze della scrittrice che fondò il romanzo contemporaneo, stravolgendone canoni, significato e scrittura. Eliminando di fatto la trama. Inventando il flusso di coscienza non solo interiore, dunque diverso da quello di James Joyce in Ulysses, pubblicato nel 1920.

Un romanzo a cui sottende la malinconia e la solitudine, ma che è l’esito e il riscatto di un romanzo d’amore e morte. La Woolf diventa una delle protagoniste; le altre donne, ciascuna con un richiamo alla grande scrittrice inglese – nel nome, nelle battaglie, nell’anelito di libertà, nel carattere – sembrano riproporne l’evoluzione e la prosecuzione dilatata nel tempo. Tutto filtrato dalla letteratura, con infinite continue citazioni, ma anche con aggiunte che partono dalla passeggiata di Clarissa a Bond Street e arrivano nelle strade e nelle case d’America, ma soprattutto nelle essenze poetiche e senza tempo dei personaggi.




Nel 2002, tre grandi attrici hanno dato volto e voce a queste donne: Nicole Kidman a Virginia Woolf, Julianne Moore a Laura Brown, Meryl Streep a Clarissa Vaughan, in un film per il cinema diretto da Stephen Daldry e ispirato al romanzo di Cunningham. Atmosfere, frasi, rimandi a situazioni e nomi, costruzione scenica e finale, immergono lo spettatore in una trama che sembra di conoscere dall’inizio e che – pure – riserverà sorprese.

Esiti di un discorso civile al femminile e non solo, che promette ancora evoluzione, altri esiti, altre conquiste.


- Questo articolo è stato pubblicato nel numero 103 della rivista culturale online www.goccedautore.it diretta da Eva Bonitatibus



  
  
  


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