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Sanità al Sud, Realtà e impegni
di Grazia Napoli


Negli ultimi due anni la Sanità è entrata quasi prepotentemente nelle nostre vite, nelle nostre case, nel nostro immaginario.
La pandemia ci ha costretto a fare i conti – nel bene e nel male – con il lavoro di professionisti e professioniste, che hanno saputo incarnare valori, sacrificio, dedizione, ma anche ragionevoli dubbi.




Tante le storie di vita, familiari e lavorative emerse in pieno lockdown. Storie di eccellenze e fallimenti, che hanno avuto come protagonisti uomini e donne bardati in tute bianche. La cronaca – e, a volte, l’inutile retorica – li ha definiti angeli, eroi…lo sono stati, ma mi verrebbe da dire ”lo erano anche quando non ce ne accorgevamo!”. Uno sforzo titanico il loro, spesso fatto in affanno, con pochi mezzi, in turni infiniti. Specie al Sud.
Se, infatti, la pandemia ha colpito duro in tutta Italia, il Sud ha scontato, con un’evidenza tangibile, ritardi e disorganizzazione, partiti da lontano. Salvo a registrare fatti scientifici e umani che ci hanno inorgoglito. Dalle prime sperimentazioni di cura all’Ospedale “Cotugno” di Napoli, all’accoglienza dei pazienti del Nord, anche con risultati eccellenti, raccontati alla Stampa dagli stessi pazienti Covid, una volta dimessi dagli ospedali calabresi e siciliani.
Si è proceduto per tentativi. Tutti erano impreparati. La politica, le amministrazioni, i medici, gli infermieri, i pazienti. Nelle regioni del Sud si è risposto comunque bene. I piccoli ospedali convertiti in centri per la cura dei pazienti meno gravi o in dimissione; le terapie intensive ingrandite con posti dedicati; reparti aperti a tempo di record. Gli ospedali da campo dono del Qatar alla Basilicata, mai attrezzati, ma convertiti in Hub vaccinali.

Problematici: la capillarità della cura, il raccordo tra territorio e ospedale, l’assistenza domiciliare. All’inadeguatezza si è sopperito grazie anche ad aiuti esterni. Accanto al personale sanitario e alla Protezione Civile, la presenza costante, paziente e competente di tanti Volontari, dagli Scout, alle Associazioni grandi e piccole, che hanno voluto mettersi in gioco, dando il proprio contributo e il proprio tempo. E poi, gli uomini dell’Esercito, a supporto di una campagna vaccinale che deve arrivare a tutti e ovunque, anche nelle aree interne del nostro Sud. Il commissario Francesco Paolo Figliuolo – figlio della nostra Basilicata – ha voluto dare risalto a questo impegno, proprio pensando alla terra che bene conosce.

Di questa straordinaria vicenda, che ha avvicinato il lavoro sanitario a tutti, proprio tutti, rimarranno tanti insegnamenti: umani e scientifici, ma rimane anche la consapevolezza, a consuntivo, di una Sanità meridionale che, pur trovando sempre un modo per uscirne, rimane indietro, per problemi economici, che si riflettono su organizzazione e strutture, con carenza numerica di personale e tecnologie esistenti, ma sempre da adeguare.

In Basilicata, è stato avviato il primo Corso Universitario della Facoltà di Medicina, 60 posti, per ora, che hanno suscitato già un certo interesse da parte dei potenziali iscritti. È un segno di ripartenza e un buon modo di guardare al futuro. Ma il progetto deve avere supporto economico, di professionalità e, soprattutto, di personale non pendolare da altre regioni, come spesso avviene per i docenti delle piccole Università. Se si vuole fare ricerca, l’università e chi vi lavora devono diventare parte del tessuto sociale ed economico. Solo così i nostri ragazzi potranno scegliere di rimanere e la nostra offerta sanitaria migliorare davvero.


Giovani e Europa


Guardare al futuro anche in Sanità è l’imperativo di questi giorni. E’ l’input che viene dal governo con le possibilità che arrivano, in tutti i settori, dal PNRR. Il mondo Sanitario guarda con fiducia al programma “Next Generation Eu” per una nuova sfida della “Sanità al Sud”, che potrebbe colmare il divario con il Nord, che – lo conferma il Rapporto del CNEL dello scorso Marzo – è aumentato con la pandemia. La disparità tra le regioni riguarda sia la disponibilità economica, che l’esito delle cure. È triste pensare che - - nel 2021!- l’aspettativa di vita di un bambino nato al Nord sia superiore di quella di un bambino nato al Sud; che le quote pro capite distribuite non siano decise in base ai bisogni della popolazione; che i posti letto al Sud non raggiungano lo standard nazionale, né tantomeno quello Europeo; che le strutture siano in gran parte sottorganico. Localmente sono stati banditi alcuni concorsi, ma le cifre rimangono esigue e commisurate alle disponibilità economiche.
Dalla modifica del Titolo V le Regioni – rileva il Cnel - hanno accumulato un disavanzo di 38 mld di euro. L’ 87% al Sud. Piani di rientro o commissariamenti hanno salvato solo la Basilicata. Le Misure di “austerity” hanno impoverito la qualità dei servizi.

La conseguenza è l’emigrazione sanitaria. Ogni anno almeno un milione di pazienti va a curarsi da Roma in su, spendendo in media 4,5 mld l’anno. Il paradosso è che le Regioni più povere finanziano le più ricche.
Parte della soluzione è - secondo le Associazioni dei Medici - nella costruzione di una vera rete di servizi sanitari di qualità e nuove assunzioni, con l’attuazione dei Programmi Europei e un finanziamento aggiuntivo, per investimenti pubblici e privati, in partenariato tra Regioni limitrofe, anche nei settori dell’Informatizzazione e delle Biotecnologie.

Un’occasione anche per chi si occupa di Service. I Club sul territorio possono fare la propria parte. Con una borsa di studio a giovani medici? Con l’acquisto di uno strumento utile a un piccolo ambulatorio? Con una partnership con il nascente corso di laurea in Basilicata? Con seminari di analisi economica e sociale?
Idee Cercansi...

Questo articolo è stato pubblicato sul n.1 del Lion Magazine per l'anno sociale 2021 - 2022 Distretto 108 - Diretto dall'amico e collega Erberto Stolfi

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