Ritorno a Recanati
di Grazia Napoli
Ritorno a Recanati
Un borgo osservato, quasi
spiato timidamente, da dietro una finestra. Uno scorcio da
cui il poeta scorgeva appena la casa di Teresa Fattorini, la Silvia delle sue ricordanze
e della sua poesia. E di cui si possono immaginare
le stanze, che risuonavano del suo canto.
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Figura 1- Piazza
Leopardi
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Un
borgo su cui lo sguardo si allarga dal “verone del paterno ostello” e
spazia verso l’orizzonte, ma non oltre il Colle e la Siepe, che delimitano e
opprimono la sua ansia di “Infinito”.
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Figura 2 -
Giacomo Leopardi
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E’ Recanati “il selvaggio borgo natio”
delle carte leopardiane. Città amata e odiata; città da cui fuggire, perché
“carcere dei viventi” e fonte di infelicità.
“La terra è piena di bellezze – dice il giovane Leopardi in una
lettera del 1817 all’amico Giordani – ma
io di 18 anni potrò dire ‘In questa caverna vivrò e morirò”. Eppure, Leopardi a Recanati ritorna, anche se non vi muore.
E’ la natura di Recanati quella descritta nelle sue liriche, è il paesaggio
di Recanati quello raffigurato con nostalgia, e che gli suscita emozioni,
sentimenti, ricordi, ispirandogli la sua migliore poesia.
A Recanati, o ricordando Recanati, Leopardi compone gli idilli. Perché la poesia nasce da un impulso, ed è
sempre breve.
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La poesia di Leopardi nasce sbirciando dalla
finestra della biblioteca paterna la torre antica, la duecentesca torre merlata, che ancora oggi si staglia in Piazza
Leopardi, accanto al Palazzo del Comune, a ricordo della prima sede
del Municipio e non lontano dal monumento al cittadino per eccellenza. Lui,
Giacomo Leopardi.
La poesia di Leopardi nasce ripensando alla piazzetta
del Sabato del Villaggio, vicino al convento di Sant’Agostino, dove
i ragazzi facevano “lieto rumore”.
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Figura 3 - La
biblioteca
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Ma
nasce soprattutto intorno e dentro il settecentesco Palazzo Leopardi, in
un orizzonte limitato, fatto di sudate carte e suggestioni costrette
in un spazio angusto, ma influenzate dalla lettura
attenta e ragionata, degna del migliore erede dell’illuminismo, dei libri
della Biblioteca paterna. 20.000 volumi scelti con attenzione dal
conte Monaldo Leopardi. Quella “libreria”, come veniva
definita allora, che soffocava ed esaltava al tempo stesso; quella libreria
in cui Giacomo conobbe il mondo, il pensiero dei filosofi, l’evoluzione della
cultura, gli avvenimenti del suo tempo e dell’antichità.
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Ma
dalla cui finestra sbirciava per evadere e perdersi nella poesia.
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Intorno
a quel Palazzo, dunque, circondato dalle case di Nerina e Silvia,
vicino alla torre del passero solitario e di fronte al Monte Tabor (il
colle dell’Infinito) si compie parte della vita di Leopardi. Ma è
ben oltre che arriva il suo pensiero, la sua poesia, la grandezza di quel sublime
romantico che – anche se uomo che cerca la
verità nella ragione – Leopardi incarna e realizza, meglio di ogni altro
poeta italiano del suo tempo.
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