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Nascondere per Narrare - Le maschere antropologiche tra arte e tradizione
di Grazia Napoli


Espressione artistica, ancestrale, antropologica, magica. Espressione teatrale, psicologica, allegorica. La maschera si trova in tutte le culture. Nasconde e svela. Cela una realtà, per descriverne un’altra. I significati si mescolano e danno vita ad una manifestazione terza. Un’altra realtà. Un’altra narrazione, che nasce comunque da un racconto precedente e più antico.




Nel teatro greco, la fissità delle espressioni delle maschere – strumento scenico già raffinato -  richiama i sentimenti, le azioni, le reazioni. Servono a definire il personaggio anche nella sua collocazione sociale. Viene impiegata per amplificare fattezze e voce degli attori, finisce per avere un significato magico, trasfigurato dall’ arte.

Sono maschere anche i Saltimbanchi della Commedia dell’Arte Italiana, dall’antico Zanni, ad Arlecchino, Pulcinella e Colombina; sono maschere gli attori dei Masques in abiti colorati, allegorici e allusivi delle Corti Europee del ‘500, dall’Italia all’Inghilterra Elisabettiana; è maschera la Supermarionetta di Gordon Craig, nel primo ‘900.

Nelle società primitive, invece, la maschera non è ancora sublimata nell’arte. Spesso solo dipinta sul volto o sul corpo, esprime l’essenza dell’ “essere primordiale, selvaggio”. Che  è poi anche l’origine della maschera antropologica, spesso mutuata dal mondo animale. Ne sono un esempio i Mamutones sardi, ma anche Il Toro e la Mucca di Tricarico o le Maschere Cornute di Aliano, entrambe in Basilicata, in provincia di Matera.

Pelli di animali, antichi calzari, bastoni, campanacci sono alcuni degli elementi che richiamano riti rurali, tradizioni pagane, il ritorno alle origini pastorali, alla storia di un popolo, nella sua specificità strettamente territoriale. Sono tante, tutte diverse, solo apparentemente simili perché la maschera antropologica è strettamente legata al contesto culturale locale. Nasce da quella singola esperienza umana, religiosa, di comunità.

Sono maschere antropologiche, ad esempio, quelle celtiche: animalesche, tenebrose, spaventose. Nate per tenere lontani dagli uomini gli spiriti, che - nel momento di passaggio dall’estate all’inverno - oltrepassavano i confini dell’ Aldilà per  perseguitare anime prescelte.

Che è, poi, il significato che, ancora oggi, si dà alla Notte di Halloween.

E’ innegabile il fascino delle maschere coloratissime degli aborigeni australiani e delle tribù africane, che affollano i museo etnografici. Non vanno viste però come oggetti statici. La loro ‘anima’ emerge se indossate, in rituali fatti di danze, canti, movimenti, che sono la parte scenica di riti di passaggio dal significato ancestrale e sociale.

Una tradizione che - in Basilicata - diventa occasione culturale e di Turismo con la Rete dei Carnevali antropologici, che hanno come capofila Tricarico con le sue maschere pastorali, che richiamano la transumanza. Ogni anno, sfilano per le vie del borgo, dall’alba al tramonto, con le maschere antropologiche, che arrivano da altri centri lucani: Cirigliano, Aliano, Lavello, Montescaglioso, Satriano; ma arrivano anche da altre regioni. Innanzitutto, la Sardegna, regione con la maggiore concentrazione di maschere antropologiche in Italia. Poi: i “poiciniell bell” dalla Calabria; l’Orso siciliano di Saponara; i “pulcinella abruzzesi” di Castiglione Messer Marino; dal Molise: “gl’i cierv” di Castelnuovo e il Diavolo di Tufara; dall’estero: gli Skoromati di Plodgrad in Slovenia. E l’elenco è ancora incompleto…

Un invito alla gioia, alla riflessione, alla conoscenza delle radici ancestrali di ognuno di noi!


*Questo articolo è stato pubblicato sul n.82 della Rivista Culturale online goccedauotre.it diretta da Eva Bonitatibus c

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