Il sito di Grazia Napoli
Home
Biografia
Articoli
Un po' di me
Il mio libro
Le mie foto
I miei video
I miei ospiti scrivono
Contatti
Email Facebook Twitter
Notizie
vedi tutte >>
Mariano Rigillo: Il Piacere di Pensare
di Grazia Napoli





Mariano Rigillo


Potenza, 2002 - Lo spettacolo è finito. Applauditissimo. Il pubblico, in piedi, riconosce a Mariano Rigillo e alla sua compagnia di aver “fatto centro”, portando in scena un’opera tra le più difficili e meno rappresentate di Bertold Brecht. Quella Vita di Galileo, in cui pochi si sono cimentati. Per Mariano Rigillo è stata una nuova sfida.

Dello spettacolo, della Basilicata, del nuovo Teatro, Rigillo accetta di parlare dietro le quinte. E giustifica la scelta del testo, per ribadire la necessità, che il teatro aiuti a riflettere e comunichi pensiero, cultura, attualità. E’ palesemente contrario alla politica di chi vuole ridurre il Teatro a puro svago, proponendo testi di mero intrattenimento. Per Rigillo il pubblico ha bisogno di una “tensione” diversa, quella a cui invita con l’ultima frase del suo spettacolo “il pensare è uno dei massimi piaceri concessi al genere umano”

- E’ per questo che ha ripreso questo lavoro, allora?

Beh, sì è chiaro. D’altra parte tutto quello che ho fatto ha avuto sempre, in maniera più o meno dichiarata, questo senso, questo scopo, questo obiettivo. Poi, questo lavoro capita nel Centenario della nascita di Brecht ed è un testo di un’attualità che fa paura.

-         Di questi tempi, in cui la guerra torna a fare paura, come crede che il Teatro possa contribuire a ricreare quella “tensione civile” a cui accennava prima?

        Innanzitutto, proponendo dei testi che contengano una dose o una qualità di pensiero alto e promuovendo anche una politica, che faccia capire alla gente quanto il Teatro e il mistero, le emozioni e i cataclismi interni, che può produrre, siano determinanti per prendere coscienza di essere individui.

-         E’ tornato di moda, negli ultimi anni, almeno a livello cinematografico, il teatro elisabettiano e il teatro di Shakespeare, che trova senz’altro un parallelo in quello di Brecht, come “teatro di parola”. Crede che il “teatro di parola” sia ancora attuale e possa essere più efficace del teatro che si serve solo di effetti e sensazioni?


         Io penso che il “Teatro di Parola” sia l’esemplificazione stessa del Teatro, perché la parola ha, in sé, la capacità di produrre pensiero e, quindi, credo che sia fondamentale il Teatro di Parola. D’altra parte, abbiamo tante altre arti, che non si servono della parola. Dal punto di vista teatrale: la danza, la musica, il teatro-danza. Credo che, per quanto riguarda la prosa, sia inutile fare un teatro ad effetto. L’effetto lasciamolo al Cinema. La mia preferenza è di carattere culturale. Credo sia fondamentale sollecitare la fantasia attraverso la parola, espressione primaria del Teatro.

-         Parliamo dei giovani attori. Che differenza c’è tra i giovani attori che si formavano qualche decennio fa e gli attori di oggi?


         Negli attori giovani oggi trovo una qualità che mi piace: la spregiudicatezza. E credo anche che sia abbastanza importante averla, perché oggi il mestiere dell’attore, e in particolare del giovane attore, è molto difficile in questo Paese, che cura poco l’aspetto culturale. Si crede che la cultura - nella cultura in particolare il Teatro - sia un fatto un po’ marginale. Quindi è inevitabile che il giovane attore si trovi in difficoltà. Certo, c’è bisogno di pensare ad una preparazione seria, senza la quale il Teatro non si può fare, perché il Teatro, al di là di qualunque definizione di carattere artistico, è, comunque, dal punto di vista professionale, un lavoro, che richiede molta preparazione. Ci sarebbe bisogno di scuole e di Teatri, che agissero per la preparazione dei giovani, con costanza e frequenza, non solo in maniera occasionale e in vari punti d’Italia.

-         Ha mai visto compagnie lucane?
          No. Credo di no.

-         Se dovesse dare un consiglio ad una città di provincia come la nostra riguardo alla sua attività teatrale?

        Produrre. Non sarebbe troppo. Va bene produrre sempre, secondo i mezzi economici che si hanno. Non si deve fare per forza il colossal. Questo è un concetto sbagliato, che sta prendendo piede: o si fa l’evento o non si fa niente. Si deve, invece, entrare nell’ordine di idee che l’evento è un fatto occasionale. E’ solo la costanza del lavoro, che fa produrre davvero. Una produzione media, certo, che però serve a tenere sempre vivo l’interesse del pubblico e il lavoro degli artisti. Ci vogliono costanza  e presenza.

-         Il futuro?
Non lo so proprio

  
  
  

 
© 2010 All rights reserved - Web Master